L’Italia favorisce la produzione di energia dal settore agricolo ? Sembrerebbe proprio di no. E’ quanto emerge da questo breve racconto in cui Giovanni Balbinot, che in provincia di Treviso gestisce l’azienda agricola della sua famiglia, ci racconta tutte le sue peripezie.
Giovanni, ricordo che più volte in questi anni ci siamo scambiati qualche idea sulla realizzazione di impianti a biomasse : potresti fare una sintesi di quello che hai passato ?
Nel 2012 abbiamo cominciato ad interessarci agli impianti a biomasse. In particolare a quelli che da biogas avrebbero potuto produrre energia elettrica : avendo infatti terreni disponibili per la coltivazione di cereali adatti a tali impianti l’idea era di costruire un impianto da circa 250-300 kWe. Calcolando la massa necessaria per un anno e le superfici disponibili (in affitto e di proprietà) raggiungevamo i 4/5 del materiale necessario.
Quindi una quota superiore al quel 51% richiesto dalla normativa per restare nell’ambito agricolo. Il resto lo avremmo avuto disponibile da acquistare in un raggio di 15-20 km. La filiera era stata quindi studiata ed organizzata prendendo contatti con tutti gli interessati: oltre a noi infatti serviva un terzista con la macchina agricola per le raccolte e la disponibilità di diversi rimorchi per portare i vari insilati in azienda nei due periodi di raccolta (maggio ed agosto).
In azienda poi le trincee per lo stoccaggio sono già disponibili dato che fino agli anni ’90 avevamo un allevamento di bovini da carne alimentati appunto ad insilato (*).
Il progetto tecnico era pronto a metà 2013.
Quindi con un progetto in mano potevate passare alla fase esecutiva.
Si ma qui sono iniziate le prime vere difficoltà. Innanzi tutto con le banche: non era un periodo facile per trovare un finanziamento ad un tasso che non fosse da usura.
Poi con il Comune che non vedeva proprio di buon occhio l’impianto. Però la difficoltà maggiore l’ha creata la Coldiretti che di fatto ha distrutto l’idea ostacolando questo tipo di macchine a livello nazionale. Se infatti le prime due difficoltà forse le avremmo superate, questa no: infatti Coldiretti ha fatto di tutto a livello mediatico ed istituzionale perché questi impianti fossero vietati ed infatti è stata imposta una data oltre la quale non si sarebbero più potuti realizzare.
La norma prevede che impianti che utilizzano esclusivamente cereali senza utilizzare scarti aziendali come liquami zootecnici non possano essere incentivati. Questa normativa ha quindi eliminato un certo tipo di impianto ed impedito quindi a chi non ha stalle di realizzarli. Ovviamente è stato un autogol com’era facilmente prevedibile.
Spiegaci meglio questo passaggio
Coldiretti ha sempre sostenuto che sarebbe stato uno spreco utilizzare cibo per fare energia. Questa motivazione può dirla però solo chi è fuori dal settore agricolo e quindi ignora i prezzi di mercato e i redditi delle aziende agricole.
Il risultato è stato che a causa del crollo del valore dei cereali, spinto soprattutto dall’ogm e dalla presenza sempre più frequente delle micotossine nel mais, nessuno più coltiva mais (*con il quale si produce l’insilato) o la granella di mais che comunque si usa per i mangimi ma viene importato, pochi producono orzo e frumento e la maggior parte ha convertito i seminativi a vite da vino o a colza (anche noi coltiviamo vite, colza, soia e frumento).
I terreni agricoli in Veneto sono occupati soprattutto dalle viti del prosecco, che non è certo cibo di prima necessità, o da colza che di fatto serve per il biodisel.
Tutto tempo buttato quindi ?
Non rientrando nei tempi utili per realizzare l’impianto a cereali, abbiamo provato a mettere insieme un progetto con un allevamento di galline ovaiole della zona in modo che loro avrebbero fornito la pollina e noi la percentuale di cereali permessa. Sono sorti però problemi formali perché o si costituiva una società nuova oppure noi come azienda agricola avremmo dovuto acquistare la pollina uscendo dal regime agricolo.
Un pantano burocratico !
Qui infatti è definitivamente naufragato il progetto biogas, anno 2014. Spinti allora dall’idea di usare scarti aziendali, abbiamo iniziato a studiare la possibilità di installare un impianto a pirolisi che bruciasse tutte le potature dei vigneti aziendali, la vinaccia ed eventualmente paglia di frumento e stocchi di mais: siamo alla fine del 2014.
Con questo materiale avremmo raggiunto la quantità necessaria per alimentare un impianto da 30 kWe. Qui le difficoltà sono state soprattutto tecniche perché di fatto abbiamo trovato solo due macchine che davvero funzionano mentre altre 5-6 che abbiamo visitato erano in fase di studio ma non sono ad oggi ancora mai state messe in funzione in modo efficiente.
Queste sono Spanner (Germania) e Neweng (italiana). La prima però è stata presto scartata perchè lavora bene solo con legno decorticato e i tedeschi non avevano interesse a provarla con altri materiali. Neweng invece si è dimostrata molto più disponibile anche perchè hanno un impianto pilota proprio per questo scopo. Abbiamo fatto delle prove portando del materiale fino alla loro sede di San Vito al Tagliamento (Pordenone); c’era legna di vite trinciata e seccata in campo e della vinaccia seccata da noi sia tal quale sia in formato pellet.
Si è visto che i risultati sono ottimi sia col legno di vite trinciato che con la vinaccia seccata e pellettata. Meno con la paglia che a causa del silicio che contiene, che obbliga ad una maggiore manutenzione perché tende a vetrificare. Non abbiamo invece fatto i test con gli stocchi di mais.
Vedo che avete davvero investito tempo e risorse. Ma anche qui, se non ricordo male, non avete avuto la possibilità di andare fino in fondo.
Qui il progetto si è fermato ed è in sospeso per due motivi: il primo è che la nostra azienda ad oggi non potrebbe sfruttare molto l’energia termica che produce l’impianto, perdendo molto in termini di redditività. Potendo anche solo scaldare delle case o delle serre vicine allora la redditività sarebbe buona. Il secondo problema è ancora il materiale: potendo contare solo sui tralci di vite, poco sulla paglia e con incognita sugli stocchi, bisognava reperire altro legname di vite oppure vinaccia dalle varie cantine, ma così facendo il prodotto aziendale non avrebbe raggiunto il minimo richiesto dalle normative, pari al 51% .
Dopo vari test abbiamo visto che un ettaro di vite a prosecco produce circa 2 tonnellate di legname secco, troppo poco per una macchina che consuma circa 1.3kg per ogni kWe prodotto. Con un generatore da 30 kW infatti ci servono circa 40 kg/ora, tanto che con 2 tonnellate avremmo fatto funzionare il generatore solo 2 giorni !
Sembra un numero enorme !
Si è così, queste macchine hanno sia il pregio che il difetto di consumare molta legna. Dico pregio perché, soprattutto in provincia di Treviso, c’è il problema di come smaltire i tralci di vite che ora vengono o macinati in campo (poco igenico per la vite) o bruciati a bordo campo (sicuramente creando polveri).
Per contro c’è il difetto che necessitando di grandi superfici coltivate, solo le grosse aziende agricole potrebbero avere il materiale a sufficienza per farle funzionare, ma magari non avrebbero un cambiamento della redditività tale da voler investire in una macchina che produce “poco” (stiamo sempre parlando di qualche decina di kW).
Qui, se posso usare il buonsenso, trovo che sarebbe cosa ovvia dare la possibilità a più aziende agricole di conferire gli scarti in un impianto collocato in una azienda diciamo “centralizzata” . Ci sono i presupposti per fare una cosa di questo tipo ?
Oggi far portare via le potature costa circa 30€ ad ettaro (un valore molto basso) quindi pochi fanno questo servizio.
Se fosse data la possibilità CERTA di poter usare la legna delle altre aziende agricole questo costo dovrebbe azzerarsi e probabilmente più aziende di media dimensioni (30-50 ettari) investirebbero negli impianti.
Quindi tempo e risorse perse per arrivare ad un nulla di fatto. Ci sono prospettive oggi ?
Ora sembra che una nuova normativa permetterebbe di acquistare il materiale mancante anche oltre il 49% però credo che un’azienda dovrebbe rendersi indipendente e non dover dipendere troppo dal mercato. Basare un progetto così impegnativo in termini di investimento e di strutture su un mercato così in evoluzione come quello delle biomasse da bruciare è un enorme rischio.
A tutto ciò c’è da aggiungere che si vive con la preoccupazione che da un giorno all’altro potrebbero cambiare le regole in barba ai contratti firmati, se vogliamo anche discutibili, ma comunque firmati e su cui le aziende fanno i piani economici
Siamo quindi fermi qui.
Giovanni ti ringrazio per la tua testimonianza e complimenti per l’impegno che avete messo nel tentativo di far decollare queste iniziative. Spero che il vento delle norme italiane cambi direzione e da persecutorio diventi d’aiuto a chi come voi ha interesse a realizzare qualcosa di utile.
Foto
- Copertina : Flickr 2011 – Mietitrebbia;
- Vigneti : Flickr – 2012 – 3BMeteo.